Il Grande Gatsby
Mi sono imbattuta nel vostro sito mentre, per lavoro (insegno), cercavo sul web notizie e fonti sul Proibizionismo in America, in relazione al romanzo di Fitzgerald “Il Grande Gatsby”.
Il mio interesse per l’argomento, in verità, non è solo letterario perchè anche a me è capitato di ammalarmi di dipendenza dall’alcol. Mi trovavo negli Stati Uniti, dove mi ero trasferita e dove ho vissuto per molto tempo con mio marito. Mi sono curata e sono poi rientrata in Italia ed è ormai un decennio che vivo in sobrietà nel nostro Paese.
Sono rimasta incuriosita dalla vostra recensione sulla mostra di Munch che mi ha portato a fare delle considerazioni sul rapporto che frequentemente si incontra, in letteratura e in ogni altro campo artistico, fra alcol e creatività. Ho quindi pensato di mandarvi un mio contributo, che nasce da quello che sto scrivendo sull’argomento.
Tanto più che lo sfondo del “Grande Gatsby”, accanto alla forte connotazione sociale e storica, al fascino romanticizzato del protagonista con la sua storia d’amore triste ed impossibile e al fallimento spirituale del “sogno americano”, vissuto da una “generazione perduta” e’ permeato dal continuo consumo di bevande alcoliche.
Il capitolo terzo del romanzo e’ una vera e propria apoteosi del bere. La descrizione del primo party in cui Nick, il narratore, incontra il misterioso Gatsby, e’ un monumento all’ebbrezza, una sfida al proibizionismo. E’ evasione da ogni regola e il dilagare dello stordimento, dello “sballo”. E’ l’era del jazz, del suo ritmo sfrenato, della sua “negritudine”, che impone movimenti sincopati e disinibiti. E’ il charleston, che fa volare per tutta la notte le ragazze del party.
L’unico a non bere in quelle circostanze e’ proprio lui, il magnanimo ospite, solo lui vuole “vederci chiaro”, per poter godere appieno della presenza della sua amata. Lui che dal traffico illegale di alcolici ha ottenuto quelle grandi ricchezze che potrebbero permettergli di riconquistare l’amore della viziata Daisy.
La sala principale della villa di Gatsby e’ ricostruita come un vero bar, con tanto di bancone e sbarra d’ottone luccicante, fornita di ogni “liquore” che, in quel periodo, solo grandi fortune possono permettersi.
Nick beve per non sentirsi fuori posto. Beve Daisy quando incontra di nuovo Gatsby e lo associa al colore della bevanda che ha nel bicchiere. Beve la sera prima di sposare Tom e gli offre da bere anche nel momento in cui tutti i nodi vengono al pettine, cosi’ che il marito non possa “sembrare stupido anche a se stesso”.
Gli amori si intrecciano e le relazioni si muovono quando entra in gioco una qualsiasi bottiglia. Tom, il marito di Daisy, scappa veloce sulla sua auto con l’amante Myrtle e intrattiene gli ospiti nel loro appartamento, offrendo tutta una serie di drink, come se anche l’adulterio potesse esistere solo con l’eradicazione della coscienza prodotta dall’alcol.
Nick e Jordan si incontrano, intessono la loro relazione fatta di bugie e di paure, scandita da momenti di triste lucidita’ e “beato” delirio alcolico. Persino i colori, dell’auto, della luce sul molo della casa dei Buchanan, degli abiti di Daisy, di quelli di Myrtle, delle simmetrie tra i personaggi e i loro desideri, sono riconducibili alle bevande alcoliche che compaiono lungo tutta la storia.
Uno dei temi fondamentali del romanzo credo che sia proprio la perdita di spiritualità’ della società’ americana del primo dopoguerra, come se i giovani ritornati dal fronte avessero perduto ogni speranza nella loro capacita’ morale di sostenere una vita dignitosa al pari coi tempi. Il sogno americano si spegne. La campagna etica e legale che ha prodotto il Proibizionismo fallisce non solo perché non riesce ad impedire per legge un comportamento radicato nel tessuto sociale, ma perché ai membri stessi di quella società’ sembra mancare la forza di trovare altre soluzioni.
L’Atto del 1919 non ha certo arrestato il consumo di alcol, anzi ha fatto si’ che questo consumo, già alto negli Stati Uniti fin dal ‘700, triplicasse. Il commercio illecito ha finito per favorire la criminalità, producendo alti costi sociali e incoraggiando la produzione “casalinga” di veri e propri veleni. Da qui la devastazione di un’intera generazione, ammalata, impoverita, paralizzata da ogni tipo di additivo, sciroppo, essenza, erba che si potesse utilizzare per nascondere il gusto terribile di quell’alcol distillato in tutta fretta in luoghi di fortuna, malsani e fatiscenti. Tant’è che il termine che veniva usato per indicarlo era “bathtub” , cioè’ brodaglia, fatta nella “vasca da bagno”, nella “tinozza”.
Il mondo dei Ruggenti Anni Venti, sia all’interno del romanzo che fuori, sembra girare intorno a due visioni in conflitto fra loro: vita quotidiana/monotonia e festa/alterazione. D’altro canto anche l’autore ha provato le conseguenze di questa conflittualità nella sua stessa vita, per via della sua predilezione per il gin (credeva che non avesse effetti sensibili sul suo alito…), della sua burrascosa relazione con la moglie Zelda, della vita di eccessi e di profonda depressione. Difficolta’ che avevano portato la moglie a diversi ricoveri in ospedali psichiatrici e all’estinguersi della vitalità dello scrittore. Solo l’incontro con la giornalista Sheila Graham, negli ultimi anni della sua esistenza, lo avrebbe ricondotto ad uno stile di vita più’ sostenibile e a scrivere di nuovo per Hollywood e per il suo ultimo romanzo, che i critici considerano ancor più bello del Great Gatsby, interrotto dalla morte per una crisi cardiaca.
Molto spesso Gatsby è visto come l’alter ego di Fitzgerald. Del resto, il lettore intuisce quanto sia “vissuta” la narrazione di quello stile di vita, di quei momenti di sfocata realtà’, di quella temporanea esaltazione che poi sprofondava nei momenti di terrore al risveglio il giorno dopo, nella disillusione, nel fallimento e nella ricerca ulteriore di ottenebrazione.
La letteratura e’ ricca di scene simili, di esaltazioni dell’ebbrezza, di poemi scritti in onore dell’alcol come mistica dell’amore terreno o soprannaturale. E’ l’alterazione della propria esistenza che si trova nella Bibbia, nei riti Dionisiaci, nella poesia di Omar Khayyam, in quella di Baudelaire, di Coleridge e nei romanzi di Bukowski, solo per citare i primi nomi che vengono alla mente.
Come si diceva all’inizio, è inevitabile domandarsi cosa attira l’essere umano verso la perdita temporanea (e talvolta definitiva) di se stesso. Qual’ e’ il legame tra alcol e creatività.
E’ solo l’alcol che, attraverso l’alterazione della mente dell’artista, genera l’opera d’arte? E l’artista è tale solo grazie al suoi eccessi alcolici?
Nel caso di Fitzgerald il suo legame con l’alcol e la sua ricerca dell’eccesso lo hanno condotto alla malattia e ad una vita ricca di fortune ma anche, e soprattutto, di grandi stenti e di dolore.
Un gran peccato, perché la sua genialità, avrebbe potuto creare nuovi capolavori e farne godere l’umanità’ intera.
Molti saluti ed auguri a tutti.